Il futuro del lavoro passa per le questioni di genere

Articolo di Patrizia Fulgoni, Presidente Life In Spa Agenzia Per il Lavoro
Il futuro del mondo del lavoro passa obbligatoriamente da una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e dalla riduzione progressiva, fino al superamento, del differenziale di retribuzione e di prospettiva di carriera con i colleghi maschi. Il gender gap ovvero il «divario tra generi, con particolare riferimento alle differenze fra i sessi e alla sperequazione sociale e professionale esistente tra uomo e donna», come lo definisce la Treccani, è un tema universale che in Italia ha una più spiccata persistenza.
La pandemia, poi, ha ulteriormente aggravato il quadro, avendo colpito duramente i settori nei quali sono prevalentemente occupate le lavoratrici, come i servizi, il turismo, la ristorazione, cioè i comparti che hanno risentito in misura maggiore delle chiusure al pubblico. Parallelamente, in termini di cure in ambito domestico, come ad esempio la gestione dei figli a casa da scuola, o l’accudimento degli anziani, la pandemia è pesata soprattutto sulle spalle delle donne, che più spesso degli uomini hanno perso il lavoro e si sono dovute dedicare ancora più alacremente a queste attività essenziali.
E i dati più recenti, osservati con attenzione, restano allarmanti. Se è vero che oggigiorno in Italia si riscontra il più alto numero di donne occupate della storia, è altrettanto vero che nel 2022 si è registrato un gap di genere maggiore a fronte di una crescita occupazionale maschile sempre più elevata: su 334 mila occupati in più rispetto al 2021, 296 mila sono uomini, cioè quasi il 90%. Se si analizza poi la situazione nel Sud del nostro Paese, si riscontra che il numero delle donne occupate è la metà della media Europea. In Spagna, in Irlanda, addirittura in Grecia la percentuale di occupazione femminile è maggiore che in Italia nella fascia di età 25-34 anni: nel nostro Paese la generazione più istruita è quella meno «impiegata».
Oltre ai numeri occupazionali, l’altro grande ambito di disparità è il divario salariale. La disparità retributiva è strettamente connessa a una diversa evoluzione di carriera delle donne e questo si evidenzia maggiormente al momento del pensionamento: donne con ruoli manageriali o di responsabilità raggiungono solo il 62% della ricchezza accumulata da pari ruoli maschili.
È sicuramente un problema culturale, il nostro è un Paese che ha ancora una forte impostazione maschile e, anche se è vero che si parla sempre più spesso di parità di genere e di donne in carriera, la percezione è molto diversa: basti pensare che per il 40% delle donne la necessità di conciliare vita e lavoro è criterio primario nella scelta del lavoro contro il 20% dei colleghi; viceversa, per il 36% degli uomini è prioritario il livello del salario, contro il 25% delle donne.
Per fortuna si intravedono alcuni segnali di cambiamento nelle nuove generazioni che ad esempio danno maggiore importanza ai congedi di paternità, impensabili fino a qualche tempo fa. Rispetto alla generazione over 40, i Millennials sono consapevoli che il sistema educativo può fare la differenza. Attraverso una, ahimè lenta, evoluzione storica si può consolidare la consapevolezza che il problema non è certo la – ancora da taluni – pretesa disparità di potenziale e capacità tra donne e uomini.
Alcune novità, tuttavia, anche sul piano politico istituzionale sembrano prendere forma. Un primo passo è stato fatto attraverso la certificazione delle imprese all’abbattimento di ogni forma di gender gap sui luoghi di lavoro previsto dalla collaborazione tra Dipartimento per le Pari Opportunità e Unioncamere. La certificazione comporta vantaggi fiscali, ma anche una maggiore e migliore visibilità dell’azienda agli occhi dei giovani in cerca di lavoro.
II Pnrr, dal canto suo, rappresenta una irripetibile opportunità anche su questo fronte e per più ragioni. Numerose sono infatti le misure che riguardano direttamente o indirettamente questo fenomeno. Si va dall’autoimprenditorialità alla formazione mirata, dal piano per più asili nido, fino a misure che favoriscono la conciliazione di tempi di vita e di lavoro come l’aumento del tasso di connettività sul territorio.
Le Agenzie per il lavoro sono in prima linea su questo fronte, non solo perché la maggior parte dei circa quindicimila dipendenti diretti è costituito da donne e perché il settore dei servizi ha negli anni di molto recuperato volumi rispetto alla produzione, ma anche perché nel nostro settore vi sono da sempre misure che vanno proprio nella direzione di favorire la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Il welfare gratuito e aggiuntivo garantito con Ebitemp, infatti, prevede indennità e rimborsi per la nascita, l’asilo nido, i trasporti e tanto altro. Molto c’è ancora da fare anche come comparto e saremo di sicuro, come spesso accade, di frontiera. Ne vale la pena sul piano culturale, sociale e anche economico. Conviene a tutti, conviene al sistema Paese. Basti pensare che secondo una stima della Banca d’Italia se l’occupazione femminile arrivasse al 60%, il Pil potrebbe crescere fino a 7 punti percentuali. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha come obiettivo dichiarato per il triennio 2024-2026 un incremento del lavoro femminile del 4%. Il tempo è poco, c’è tanto da fare in fretta. E bene. Noi siamo pronti.
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