Formazione professionale: fondi pubblici solo a chi garantisce accesso al lavoro
Lo scenario
La crisi impone definitivamente l’urgenza del rigore massimo nell’utilizzo efficiente della spesa pubblica e nel finanziamento della formazione veramente finalizzata all’inserimento lavorativo. In uno scenario di forte evoluzione sia dei lavori che della loro struttura, di mutamento dei contesti organizzativi o addirittura di cambiamento traumatico anche sociale, la principale bussola del lavoratore è rappresentata dal suo valore professionale.
I rischi
Lo stato dell’arte è molto critico e l’impatto sulle competenze richieste è epocale. Per l’OCSE oltre 13 milioni di italiani adulti (ossia il 40% della popolazione) hanno scarse competenze di base (matematica, lettura e scrittura) e digitali e sono potenzialmente a rischio marginalizzazione in un mercato del lavoro che cambia a ritmo sempre più sostenuto.
La proposta di Life in Group
Per dare una chance alla nostra economia e ai lavoratori, occorre investire sulla formazione. Essa deve essere pensata e costruita con le imprese, improntata sull’adeguamento delle competenze digitali e venire erogata in tempi brevi.
Occorre che i lavoratori, soprattutto quelli più maturi, abbiano consapevolezza dello scenario: cosa cerca il mercato, quali attività richiederanno un investimento in digitalizzazione ma, anche, su quali ambiti produttivi potrà invece calare un sipario e non sarà opportuno investire.
La formazione va costruita prevedendo l’utilizzo di “voucher”, strumenti spendibili nell’acquisto di servizi finalizzati, a disposizione del lavoratore. Deve essere progettata sia in presenza che a distanza (off-line/on-line), anche con sistemi di valutazione sulla sua efficacia. La formazione finanziata non può essere remunerata esclusivamente sulla base della sua erogazione.
Un nuovo “Grande Piano della formazione”, pertanto, dovrebbe essere costituito da un sotto-insieme di azioni correlate tra loro, tra cui:
- la mappatura delle competenze in essere nei diversi contesti produttivi con azioni mirate nelle medie e grandi aziende;
- la rilevazione costante dei settori produttivi che hanno indici di crescita positivi e fabbisogno di manodopera e di professionalità;
- la rilevazione dei disallineamenti delle competenze, con focus su quelle digitali dei lavoratori ed in particolare di coloro che sono attivi in aziende in difficoltà;
- l’avvio di interventi mirati di skilling, re-skilling e up-skilling al fine di prevenire la fuoriuscita dal mercato dei lavoratori.
Una proposta concreta, di facile attuazione, che non comporta alcuna spesa ma, al contrario, uno straordinario miglioramento nell’allocazione delle risorse pubbliche riguarda le modalità di selezione dei progetti da finanziare per la formazione. È necessario un meccanismo che riconosca il finanziamento pubblico esclusivamente in relazione a risultati in termini di placement. Soltanto quei soggetti che possono dimostrare una percentuale di successo e quindi di “collocamento al lavoro” dopo la formazione da essi erogata, per una certa percentuale di discenti (es: 30%), potranno accedere alle risorse pubbliche.
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